Avete presente i sacchi in tela grezza?
Quelli ruvidi al tatto e insignificanti alla vista.
Brutti, sporchi, inorformi.
Emblema di un passato rurale del quale segratemente ci vergognamo.
Quelli sgraziati, vecchi e impolverati, il cui solito destino è quello di giacere pigri e abbandonati in qualche remoto magazzino.
Immaginatene uno pieno di grano, di caffè o di ciò che volete.
Di aria, illusioni e stronzate, se preferite.
Quel sacco sono io.
Quel sacco, come tutte le cose sono vecchie che non godono fascino di essere retrò, è abbandonato a sè stesse, soggetto al logorio della vita quotidiana, alle intemperie, all'alacre rosicchiare dei topi.
Dai buchi, dalle crepe, dalle lacerazioni, il contenuto fuoriesce a fiotti.
Nessune se ne curerà.
Niente di buono, niente di cattivo.
Niente.
Quei sacchi non valagono niente, ciò che contengono ancora meno.
" E' evidente che tu non piaci, che non vai bene".
Analisi acuta, millemila punti.
Nononono e ancora no.
Respinta al mittente.
Un sacco tutto rotto chi lo vuole?
Io non mi vorrei.
Sono... ma non abbastanza.
Sarebbe meglio che non fossi affatto.
Non è una caduta, è una picchiata.
Meno per meno non fa più.
Fa meno al quadrato
e a me fischiano le orecchie a furia di precipitare.
Ho bisogno di una ragione per sorridere.